SUPERSEX
La vita e il porno come domande drammatiche
Non mi aspettavo grandi cose da SuperSex. Mi sbagliavo.
Dopo essere stata presentata in anteprima al Festival di Berlino 2024, posso dire che, al momento, per me, è una delle migliori serie italiane che abbia visto (sicuramente una delle migliori degli ultimi anni). Ideata da Francesca Manieri e diretta da Matteo Rovere, Francesco Carrozzini e Francesca Mazzoleni, SUPERSEX è la serie liberamente ispirata alla vita di Rocco Siffredi, pornodivo italiano di fama mondiale.
Partiamo dagli interpreti.
Il comparto attoriale è di altissimo livello.
- Monumentale Adriano Giannini (Tommaso, fratello di Rocco), depresso, alcolizzato ed eternamente in bilico. La sua performance ha ricevuto un plauso collettivo, quasi unanime.
- Impeccabile, come sempre, Alessandro Borghi (per me, il migliore attore italiano della sua generazione).
- Ottima anche Jasmine Trinca. Nei suoi silenzi, negli sguardi, nella voce. Perfettamente calata dentro la parte.
Tutti gli attori hanno condotto uno studio approfondito sui personaggi, lavorando sull’aspetto, sui movimenti del corpo, sugli occhi. Non è facile trovare una serie che metta insieme una tale quantità di talenti e di attori in stato di grazia.
Passiamo alla storia.
La sceneggiatura è studiatissima, calcolata, costruita in maniera progressiva. Francesca Manieri porta avanti un lavoro eccezionale, che non si limita ad affrontare un tema, ma più temi. E li affronta – non con un volo delicato o una voce appena udibile, non una carezza, ma – con un pugno, con una violenza concettuale (e scenica) poderosa, che scuote. Colpisce, fa riflettere. Si parla di sesso, certo – non potrebbe essere diversamente – ma direi che il tema “pornografia” risulta quasi marginale o, ancora meglio, funzionale al personaggio.
Personaggio, quello di Rocco Siffredi, diviso, in bilico, malato, ossessivo.
Vincitore e sconfitto al contempo, re dei re e ultimo degli schiavi nell’ambito della stessa scena, dello stesso dialogo. L’ascesa cinematografica di un talento del cinema a luci rosse si sposa con i suoi conflitti interiori, ma anche e soprattutto familiari ed extra-personali.
- Il rapporto col fratello è una continua contraddizione, un’incessante sinusoide che passa dall’amore smisurato all’odio più animalesco, attraversando ogni possibile sfumatura del sentimento umano.
- Il rapporto con la madre, difficile ma anche necessario. Una relazione fatta di amore puro, di sguardi bassi, di vergogna, ma anche di complicità, affetto e tenerezza.
- Il rapporto con il paese d’origine, che prima bisbiglia il suo nome con vergogna e imbarazzo, poi lo idolatra come nuovo fenomeno dell’intrattenimento pornografico.
La serie è “liberamente” ispirata alla vita di Rocco Siffredi, quindi non sappiamo quanto ci sia di vero e quanto, invece, sia stato plasmato a beneficio della fiction. Una cosa, però, emerge netta, chiara: la vita di Rocco Siffredi è stata una successione d’inferni. “Questo inferno rosa” lo avrebbe chiamato Mogol, ma il baricentro drammatico non è circoscritto a questo: non è solo la fame animale, voglia incontenibile di sesso, necessità di andare a letto con le donne a fare di Rocco Siffredi – il Rocco della serie – un personaggio complesso, sfaccettato, amabile e odioso al contempo.
Non è solo questo.
Le sue incoerenze e le paure si estendono a ogni sfera del vivere umano, passando per una serie di elementi, a volte transitori altre volte dirimenti: il difficile rapporto con gli “zingari”, i conflitti lavorativi con i produttori, con le attrici, passando anche per la corrispondenza amorosa, oltre che sessuale, con Moana Pozzi, per non parlare dell’amore voluto-denigrato-rifiutato-accolto verso un possibile figlio.
Ne emerge, in definitiva, una processione magnifica di personaggi in bilico, tutti in fila sull’orlo di un dirupo: non c’è, in questa parabola umana e professionale, nessun reale vincitore. I riconoscimenti artistici sono solo la metà luminosa di una luna che riserva, dall’altro lato, una faccia nera, sgretolata, piena di crepe.
Non era facile partire dal materiale biografico a disposizione per costruire un viaggio così oscillante e avvincente, poetico, drammatico e spudorato attraverso le cadute e le risalite, i successi e i drammi, le risate e le lacrime.
Ciò che resta, diradato tutto il fumo, è una profonda solitudine. Che poi, alla fine, è la paura prima e ultima di qualsiasi essere umano.
© Diego Di Dio, 2024