Ratched

La complessità del male

Mildred Ratched è un personaggio che abbiamo conosciuto nel 1975, grazie a Qualcuno volò sul nido del cuculo, il capolavoro di Miloš Forman. Il film è tratto dal romanzo omonimo scritto da Ken Kesey nel 1962, ma tradotto in Italia, per la prima volta, solo nel 1976.

Qualcuno volò sul nido del cuculo si aggiudicò i cosiddetti Big Five (ossia i premi più ambiti: miglior film, miglior regia, miglior attore, miglior attrice, miglior sceneggiatura) ed è considerato tra i migliori film della storia del cinema. Non solo. Per quanto mi riguarda, la storia si conclude con uno dei finali più belli, memorabili e struggenti che abbia mai visto. Qualche tempo fa ho stilato l’elenco dei miei finali preferiti. Eccoli, in ordine sparso.

  • Qualcuno volò sul nido del cuculo
  • Rocky
  • Il buono, il brutto, il cattivo
  • Il padrino
  • Edward mani di forbice
  • Per qualche dollaro in più
  • Nuovo cinema paradiso
  • C’era una volta in America
  • Eyes wide shut
  • La vita è bella
  • The dark knight rises
  • Interstellar
  • Rogue one
  • Braveheart
  • Blade Runner
  • L’esercito delle 12 scimmie
  • La 25esima ora

Torniamo al film.

Con questa pellicola abbiamo modo di conoscere, anzitutto, il protagonista: Randle Patrick McMurphy, ricoverato all’ospedale psichiatrico di Stato di Salem dopo un’accusa di violenza su una minorenne. McMurphy è un personaggio totale, poetico, indimenticabile. Nel suo dimenarsi dentro la struttura, nelle sue trovate provocatorie e irriverenti, Mac è il centro di gravità di tutto il film.

Jack Nicholson – Oscar come miglior attore – riesce a esprimere tutta la complessità e le contraddizioni di quest’uomo libero, insopportabile, arrogante, sboccato e magnifico. Deride le sedute di psicanalisi, organizza tornei di basket, improvvisa la telecronaca di una partita inesistente e porta tutti i pazienti in gita in barca, violando ogni normativa dell’istituto.

La follia di MacMurhpy, però, non ha solo il sapore divertente e dolce della ribellione; ha anche il retrogusto amaro della sconfitta, quasi inevitabile quando un singolo decide di sfidare l’intero sistema.

Il film, però, non si limita a celebrare il personaggio principale; attorno a McMurphy c’è un’intera pletora di pazienti, infermieri e membri dello staff: ogni personaggio è tridimensionale, ognuno ha una serie di caratteristiche identificabili che lo rendono unico agli occhi dello spettatore. Non ci sono comparse, nemmeno tra le comparse.

Il personaggio secondario più forte, però, resta lei: la villain, Mildred Ratched, l’infermiera fredda e spietata che gestisce il reparto (Oscar come miglior attrice alla bravissima Louise Fletcher). L’infermiera Ratched è una sadica manipolatrice, una calcolatrice fredda, vendicativa, caratterizzata da una calma apparente e terrificante. Non urla mai, non si arrabbia mai, non perde mai il controllo: nei suoi occhi fermi e inumani alberga molta più pazzia di quanta non ve ne sia nello sguardo smargiasso di McMurphy.

Da queste premesse, nasce Ratched, miniserie in 8 episodi (distribuita da Netflix nel 2020) che decide di indagare il passato dell’infermiera, andando a scandagliare tutta la backstory di questo personaggio.

Ryan Murphy, uno dei più grandi produttori seriali degli ultimi anni, decide di dare un passato a questa donna maligna e vendicativa.

Benché gli spunti a disposizione siano molti, va detto che il materiale per costruire una serie non è sufficiente: Qualcuno volò sul nido del cuculo ci dice cosa sia diventata Ratched adesso, oggi; ma non ci dice né come né perché.

Ecco che Murphy decide di costruire la donna Mildred Ratched; decide di svelarci l’arco di trasformazione di questo personaggio odioso.

La incontriamo, per la prima volta, nel 1947, quando usa una serie di stratagemmi per ottenere un posto come infermiera in un importante istituto psichiatrico nel nord della California. Fino a un certo punto non capiamo il motivo di tutto questo impegno: è evidente che Ratched non abbia alcun reale interesse ad aiutare i pazienti dell’istituto. Il suo disegno emerge dopo un po’: lo scopo della donna è liberare suo fratello, reo di aver assassinato quattro preti a sangue freddo, e rinchiuso lì per una valutazione psichiatrica.

Sarah Paulson è brava nel dare aspetto, voce e sguardo alla giovane infermiera Ratched e a tutto l’universo di antinomie che albergano nel cuore della donna. Grazie a questa serie, che ogni tanto indulge anche in particolari cruenti simil-horror, scopriamo che Ratched non è un personaggio bidimensionale o scontato; la fase ultima della sua trasformazione in Qualcuno volò sul nido del cuculo affonda le radici in un passato tormentato, difficile e angosciante. L’abilità manipolatrice della donna e la sua totale mancanza di remore morali non sono il dato scontato di un villain prevedibile, ma rappresentano la difesa più resistente, l’armatura indistruttibile di cui la donna si è rivestita per fare fronte a un mondo impietoso.

Diciamo la verità, questa serie nasce con un obiettivo difficile: dare un background coerente a un personaggio noto. Esperimenti del genere difficilmente hanno prodotto risultati memorabili; basti pensare al tentativo di Thomas Harris di giustificare, a ritroso, il suo fuoriclasse Hannibal Lecter. Quando si ha a che fare con personaggi già impressi nella coscienza collettiva per le loro caratteristiche attuali, è sempre difficile congegnare ex post un arco di trasformazione che sia, al contempo, originale ma anche coerente.

Al netto di questo handicap fisiologico, devo riconoscere che Ratched ha più di qualche merito. Benché questa serie non rientri tra le mie preferite, ho apprezzato il tentativo di dare un passato all’infermiera; e, sopra ogni altra cosa, ho apprezzato l’indagine psicologica che gli sceneggiatori hanno condotto sull’anima di questa donna: contrariamente a quanto si sarebbe potuto pensare, Ractched non è un velo nero, non è un male banale; è una composizione di colori e sfumature, una sommatoria di conflitti, una poesia di antinomie.

 

© Diego Di Dio, 2023

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