Mad Men
(La felicità è l’incompiutezza)
Mad Men è una delle migliori serie tv di tutti i tempi.
Uscita dal 2007 al 2015, Mad Men utilizza come ambientazione la New York degli anni Sessanta, parlandoci delle vicende di un’agenzia pubblicitaria, la Sterling & Cooper (che cambia poi nome in Sterling Cooper Draper Pryce, e infine Sterling Coopers & Partners) di Madison Avenue.
In particolar modo, la serie si sofferma sulle vicende del direttore creativo dell’agenzia, Don Draper.
Il punto di vista privilegiato ci consente di vivere, da vicino, alcuni dei maggiori mutamenti sociali, politici e concettuali in atto negli USA di quel periodo; per fare qualche esempio, basti pensare alla campagna elettorale che contrappose Kennedy a Richard Nixon (1960), la crisi dei missili di Cuba (1962), l’assassinio di Kennedy (1963), le lotte per la conquista dei diritti civili degli afroamericani e il primo allunaggio.
Ideata da Matthew Weiner, la serie utilizza l’agenzia come specchio per raccontarci l’evoluzione dei costumi americani nel corso di un decennio ma, al contempo, ci racconta la storia di questo curioso direttore creativo, Don Draper (interpretato da un bravissimo Jon Hamm).
Come Breaking bad (che resta, tuttora, la mia serie preferita in assoluto), anche Mad Men ha fatto incetta di premi nel corso del tempo. Nel 2013 la Writers Guild of America l’ha collocata al settimo posto tra le serie meglio scritte di tutti i tempi. E, tra Satellite Award, Golden Globe e Premi Emmy, anche in questo caso parliamo di un cult assoluto nel mondo dell’intrattenimento seriale.
Cerchiamo di capire perché Don Draper sia un personaggio così complesso e sfaccettato. Per prima cosa, andrò a elencare le sue caratteristiche principali:
Genio creativo → In termini di copywriting e campagne pubblicitarie, è letteralmente imbattibile. Ha una mente brillante, un intuito formidabile per capire cosa vuole il pubblico. Non a caso, è il direttore creativo di una delle principali agenzie pubblicitarie del paese.
Traditore seriale → Alcuni lo hanno definito “ninfomane” ma, a parer mio, è un termine poco adatto per descriverlo. Non riesce a essere fedele, questo sì. Tradisce la prima moglie, la seconda e – ho pochi dubbi in merito – qualsiasi altra compagna abbia avuto o avrà. Ha una necessità quasi incontrollabile di sedurre donne.
Bevitore incallito → Regge l’alcol come pochi. Beve al lavoro, a casa, di giorno, di sera. A volte, però, alza troppo il gomito, e finisce per combinare pasticci di cui ricorda poco o nulla.
Impostore → Il suo vero nome non è Don Draper, ma Dick Withman. Durante la guerra di Corea (cosa che lo spettatore scoprirà dopo un po’), dopo aver visto morire il suo compagno e tenente (Donald Draper), decise di rubargli l’identità, per ricominciare una nuova vita, con nome e prospettive diverse.
Distonico → Don Draper è tante cose. È un problem solver (dategli un problema e riuscirà a risolverlo); è un direttore esigente (come capo è intransigente e spietato) ma sa essere anche una persona empatica (riesce a compiere atti di gentilezza nei momenti più inaspettati).
C’è poco da dire: Don Draper è un personaggio concepito e scritto in maniera magistrale e, non a caso, ne parlo anche nel mio Master Advanced di Scrittura Creativa, nella sezione dedicata alle serie tv.
Peraltro, va detto che Don Draper non affronta un percorso evolutivo nel senso stretto del termine. Ho citato prima Breaking bad; bene, confrontiamo (con tutte le differenze del caso) i due protagonisti: Walter White e Don Draper. Chi ha visto Breaking bad lo sa bene: Walter passa da un punto A a un punto B. Certo, questo processo non è né lineare né semplice. Anzi, è costellato da errori, ripensamenti, alti e bassi; ma di fatto, se prendessimo in considerazione il punto di partenza e quello di arrivo di Walter/Heisenberg, avremmo un grafico crescente da sinistra verso destra, una parabola evolutiva netta e archetipica.Con Don Draper, invece, no.Il personaggio non affronta un percorso evolutivo (crescente o decrescente che sia); non vive un vero e proprio arco di trasformazione. Don Draper oscilla, oscilla sempre, come un corpo impazzito che, in balia delle sue mille contraddizioni, non riesce a trovare una bussola. In alcuni casi ci sembra che abbia imparato dagli errori del passato (e quindi che si sia, in un certo senso, evoluto) ma poi, sistematicamente, lo vediamo ricadere nelle stesse colpe, negli stessi sbagli. La parabola di Don Draper, quindi, non può esprimere alcuna metamorfosi in senso stretto; non che il personaggio non cambi, certo, ma si tratta di piccoli assestamenti provvisori che, di fatto, non mutano mai davvero la natura del personaggio. Solo nelle scene finali, forse, abbiamo il barlume di una soluzione narrativa: quell’abbraccio dato di slancio e quel mezzo sorriso abbozzato sono sintomo – non tanto di un cambiamento, quanto – di una soluzione, di una nuova serenità, di un diverso equilibrio.Don, di fatto, non si è mai davvero messo in discussione, al contrario di Walter White: Heisenberg nasce proprio da una presa di coscienza di Walter White, da una distruzione progressiva e lenta del personaggio iniziale. In Mad Men, il personaggio iniziale e quello finale non sono distanti, non sono antitetici, non sono nemici.
Don Draper ha un solo vero nemico, dall’inizio alla fine della serie: se stesso. Solo con l’ultima scena dell’ultimo episodio, forse, riesce a liberarsene; ma di fatto, non lo sapremo mai.
© Diego Di Dio, 2022