L’erba del vicino è rosso sangue
THE WATCHER
Ryan Murphy (classe 1965) è un regista, produttore e sceneggiatore statunitense. Noto come il Re Mida delle serie tv, è famoso per aver creato prodotti di grande successo, come Nip/Tuck (2003), American Horror Story (2011) American Crime Story (2016) e, da ultimo, Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer (2022).
(Per leggere la recensione di Dahmer, vai qui)
Subito dopo Dahmer, esce per Netflix un’altra serie concepita da Murphy: The Watcher.
La storia è vagamente ispirata a una vicenda reale, dalla quale Murphy ha attinto a piene mani per concepire la sua serie angosciante, cupa e ansiogena: un’adorabile famiglia americana si trasferisce in una splendida villa a Westfield; la casa dei sogni, però, costa parecchio, e questo costringe Dean (l’uomo di casa) a prossciugare il conto in banca. La casa del 657 Boulevard sembrerebbe il coronamento del sogno familiare, se il quartiere non fosse popolato da personaggi ambigui, invadenti e curiosi.
L’arrivo di una serie di lettere, vagamente minacciose, firmate dall’Osservatore (The Watcher), andrà a incrinare gli equilibri della famiglia, finendo col tempo per terremotare del tutto la stabilità coniugale; e perfino la sanità mentale dei coniugi.
Come premesso, la trama è ispirata a una vicenda reale: nel 2018, infatti, il New York Magazine pubblicò un articolo – intitolato proprio “The Watcher” – in cui si ricostruiva la storia di una famiglia del New Jersey che era stata vittima di stalking tramite misteriose lettere di minaccia. Rispetto alla vicenda, mai risolta, Murphy ci aggiunge del suo, creando una serie che potrei ipoteticamente dividere in due parti:
LA PRIMA METÀ
Perfettamente realistica e credibile, le prime puntate di questa serie trasmettono un senso di angoscia, di paura e timore. Ci si cala nei panni dei genitori che, dal momento in cui hanno traslocato, hanno di fatto perso ogni serenità; non si riesce a capire chi sia l’autore delle lettere né il fautore delle strane cose che accadono nella villa. Si empatizza molto con i protagonisti, perché in sostanza tutti i vicini (e forse tutti i membri della cittadina) potrebbero essere colpevoli. C’è un rompicapo da risolvere, e questo stimola tanto la curiosità verso il caso quanto l’affetto verso i personaggi.
LA SECONDA METÀ
Qui si va troppo oltre. La sospensione dell’incredulità è una corda tirata così tanto che, alla fine, si spezza, perché le coincidenze, le scoperte, gli elementi simil-sovrannaturali iniziano a essere eccessivi; lo spettatore crede alla storia fino a un certo punto, ma poi smette, perché quello che era cominciato come un mystery-thriller angosciante e realistico assume contorni onirici, parossistici, eccessivi.
IL FINALE
Il finale, forse, è quello che delude di più. A questo proposito, vanno dette due cose.
- Il caso reale non fu mai risolto: non si scoprì mai chi fosse lo stalker autore delle lettere. Ergo, il fatto che nemmeno questa serie abbia un disvelamento finale chiuso è forse da ascrivere alla volontà di mantenersi aderenti – in parte – alla storia vera.
- Una trama gialla come questa può, sì, avere anche un finale aperto; al netto della delusione scontata da parte chi vorrebbe un colpo di scena conclusivo e coerente, va comunque sottolineato che molti punti, nella serie, rimangono oscuri. Non sono poche le domande che restano senza risposta; e quando una storia congegnata in questo modo colleziona troppi punti interrogativi e solo qualche punto fermo, è sempre un fallimento. Qualche esempio:
- Chi è il personaggio incappucciato che appare alla fine dell’ultima puntata? Chi terrorizza Karen a tal punto da costringerla ad abbandonare la villa dopo appena 48 ore?
- Chi era la ragazzina con le treccine che compariva nel video in camera da letto?
- Perché John Graff vive nella casa accanto? Da quanto ci vive e per quale motivo? Essendo ricercato da venti anni per aver sterminato la famiglia, è credibile che nessuno abbia mai sospettato della sua esistenza lì? E per quale motivo usava i tunnel per introdursi nella villa? Se non è lui The Watcher, a quale scopo sgattaiolare furtivamente nella casa dei vicini?
Ci sarebbero altri quesiti irrisolti, ma una cosa interessante posso dirla: la figura di John Graff è ispirata, forse, a un personaggio realmente esistito (che non c’entra con la vicenda di The Watcher, ma che gli sceneggiatori hanno comunque innestato nella trama): si tratta di John List, che uccise i suoi familiari, compresi i figli, nella loro casa a Westfield, proprio dove è ambientata la miniserie; per molti anni riuscì a scappare alla polizia.
IL PERSONAGGIO MIGLIORE
Theodora (Noma Dumezweni), la detective privata ingaggiata dai coniugi per fare luce su questo caso. Personaggio tosto, coerente e divertenete. Alla fine si sacrificherà per regalare un po’ di pace alla famiglia: addossandosi ogni colpa, inventerà di essere stata lei a scrivere le lettere e a organizzare le persecuzioni. Ammetterà, in punto di morte, di essere The Watcher, sperando così di regalare un po’ di pace a questa famiglia tormentata; anche se il suo bluff sarà scoperto presto.
IL PERSONAGGIO PEGGIORE
Nora Brannock (Naomi Watts). Non è di certo la migliore performance attoriale della Watts, ma la cosa che infastidisce di più è la struttura del personaggio: una donna debole, lunatica, influenzabile, capace di cambiare idea a seconda dell’interlocutore con cui parla. A tratti sembra una marionetta nelle mani dell’amica: si fa pilotare come se non fosse dotata di una propria volontà; giunge a conclusioni improbabili e superficiali, dimostrando più volte di non essere in lista per la classifica annuale Miss Materia Grigia.
In definitiva, The Watcher è un prodotto ambizioso ma in parte deludente. Le falle nella trama sono troppe, e il fatto che gli sceneggiatori non si siano preoccupati di risolvere alcuni misteri segnala, per me, una scrittura superficiale e a tratti frettolosa, poco sorvegliata.
In ogni caso, se vi trovaste a guardarla, ricordate di chiudere a chiave la porta di casa; di serrare le tendine; di non scendere nel seminterrato: potreste trovare tunnel misteriosi che portano chissà dove.
© Diego Di Dio, 2022