Diabolik

DIABOLIK FLOP: SÌ O NO?

Questa recensione non sarà facile, perché sono combattuto.

Ho da poco visto Diabolik – il film (2021) dei Manetti Bros. E l’ho visto con l’attesa spasmodica di chi legge, da anni, il fumetto creato dalle sorelle Giussani nel 1962.

All’inizio ho pensato: «È uno scherzo, vero?»

  1. Una regia scolastica, lenta, che poteva andare bene cinquant’anni fa.
  2. Una sceneggiatura fatta di dialoghi di plastica, didascalici, scontati.
  3. Una storia manieristica e priva di scossoni, così lenta da strappare, in più di un’occasione, qualche sonoro sbadiglio.
  4. La cosa che mi ha lasciato più perplesso, però, sono stati gli attori: una recitazione generalmente piatta, amorfa, suggellata da inquadrature improbabili e superatissime. Un Luca Marinelli – che io adoro – che si sforza in ogni modo di rendersi credibile come Diabolik, riuscendovi solo in minima parte; non per colpa sua, ma forse per una scelta di casting sbagliata a monte. Miriam Leone (Eva Kant) bellissima, ma anche lei forzata, legnosa, a tratti macchiettistica. Va aggiunto, peraltro, che il vero protagonista della pellicola non sembra essere il genio del crimine, ma la sua compagna.

Dopo il film, delusissimo, ho pensato: «Non può essere così. Non possono essere lacune tecniche, è impossibile. Sembra fatto da registi che non vedono un film da cinquant’anni e da attori che non hanno mai recitato in vita loro. Possibile?»

Ovviamente no.

Ho dovuto documentarmi e riflettere un attimo per capirlo: l’intenzione dei registi è stata proprio quella di produrre un film che restituisse, appieno, il fumetto delle sorelle Giussani. Diabolik è un film che recupera quell’estetica minimalista anni Sessanta, quegli stilemi che il fumetto ha imposto sin dai primi albi, creando una propria sintassi, sui generis e inimitabile.

E com’è il fumetto di Diabolik? Lo conosciamo bene, e ci piace proprio per la sua improbabilità:

  • Diabolik è algido e privo di evoluzione (conosceremo la sua backstory solo dopo un po’, ma resta un personaggio seriale sempre identico a se stesso).
  • Il finale è quasi sempre lo stesso; a prescindere dal coefficiente di difficoltà del colpo, la storia si chiuderà sempre nello stesso modo.
  • Ogni scena è accompagnata da una didascalia esplicativa tipica degli anni Sessanta e Settanta; e ogni epilogo è accompagnato da uno “spiegone” riassuntivo scritto a mero beneficio del lettore.

 

Ma quello che può funzionare in un fumetto atipico come questo, nato peraltro negli anni Sessanta, per me non può funzionare in un film proposto nel 2021.

Per alcuni è stato un pregio, per altri un difetto (io appartengo alla schiera dei secondi): Diabolik-film guarda esclusivamente a Diabolik-fumetto, a nient’altro.

L’aderenza perfetta al canone fumettistico è fuori discussione ma, ripeto, per me non è un pregio a priori. Anzi, a volte è frutto di una scelta errata.

Pensiamoci.

Se il discrimine fosse solo l’aderenza all’opera originale, allora film come “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, “Shining” e “Il padrino” (o, per andare nell’ambito dei cinecomic, “Il cavaliere oscuro”) sarebbero dei flop, perché vanno ben oltre quella che è l’opera originale; banalmente traducono quelle ispirazioni in un linguaggio differente e autosufficiente, conferendo una luce nuova a un’opera concepita e progettata tenendo conto del diverso contesto, del diverso pubblico, del diverso idioma.

Il cinema è una cosa, i fumetti un’altra e i romanzi un’altra ancora.

Se dovessimo fare un film su Batman ispirandoci fedelmente ai primi fumetti (1939 e successivi), cosa ne verrebbe fuori? Un B-movie improbabile e involontariamente comico, un’accozzaglia di scenette oscillanti tra il cringe e il trash.

Ovviamente non si può sperare di proporre, a un pubblico di 50-60-70 anni dopo, un film che voglia essere una copia fedele del prodotto iniziale.

L’aderenza, in questo caso, non è un pregio.

A chi è destinato questo film?

Agli appassionati del fumetto o anche agli altri, che magari di Diabolik sanno poco o nulla ma voglio essere intrattenuti da una storia avvincente e gradevole?

Il processo di conversione da un linguaggio all’altro è un filtro che deve tenere conto non solo del pubblico attuale, ma anche dei diversi strumenti utilizzati; magari, ispirandosi a quel prodotto, si potrà produrre qualcosa di nuovo, non per forza fedele in tutto all’antesignano.

Non solo.

La fedeltà manichea al fumetto originale è una scelta che, di fatto, esclude da ogni possibile target coloro che non conoscano a menadito il canone originale. Ribadisco: il film di Diabolik guarda solo al fumetto di Diabolik e ai suoi lettori, senza tenere conto di nient’altro.

Diabolik

È proprio per questo motivo (anzi, per il suo opposto) che film come “Il Cavaliere Oscuro”, “Il Padrino”, “Shining” e “Qualcuno volò sul nido del cuculo” (fatti salvi i dovuti distinguo) sono dei capolavori: perché traducono, perché trascendono.

Perché vanno oltre.

Diabolik no.

Apprezzare questo Diabolik non è impossibile, ma l’operazione richiede un atto di fede, e anche la capacità di farsi abbracciare da un universo respingente, da una storia lenta, da una regia antistorica, da una recitazione glaciale e priva di pathos.

Tutto questo è possibile a patto di accogliere la premessa silenziosa con cui i registi hanno (o avrebbero dovuto) introdurre il film: «Sappiate che non vedrete un film avvincente o interessante di per sé, ma un film che ha senso solo se messo in relazione con il fumetto che lo ispira, e di cui è fedele riproposizione.»

Per me, in definitiva, resta sicuramente un’operazione apprezzabile e un tentativo coraggioso, che tuttavia (mi) delude sia nel merito sia nel metodo.

© Diego Di Dio, 2023

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