Creed

CREED III
L’unico capitolo inutile della saga di Rocky

Chi scrive è un appassionato di Rocky Balboa, e lo è da circa trent’anni.
Sono nato nel 1985, e quell’anno esplodeva nelle sale di tutto il mondo Rocky IV, scritto, diretto e interpretato da Sylvester Stallone. Un film quasi fumettistico, con un utilizzo eccelso del reparto tecnologico, al servizio di una storia made in USA che di Rocky aveva ben poco.
La politica reaganiana di cui il film si faceva portavoce – in clima di piena guerra fredda – aveva ben poco da spartire con le atmosfere indipendenti e lo slancio poetico del primo Rocky (1976), eppure è un film che ci ha intrattenuto e fomentato per decenni: gli allenamenti portati oltre il limite delle capacità umane, l’incontro Rocky vs Drago talmente surreale da essere quasi un “cinecomic”, la contrapposizione manichea tra una Russia spietata e dopata, e un’America sentimentale e naturista.

Lo ammetto: ogni Rocky mi piace.
Non tutti sono allo stesso livello, certo, ma rivedrei centinaia di volte (mi correggo: ho rivisto centinaia di volte) ogni film del franchise, compreso quello considerato notoriamente più debole, ossia Rocky V (1990). Quest’ultimo, pur essendo stato un flop commerciale, ha comunque due meriti.
Il primo: introdurre nel mondo “buonista” di Rocky la corruzione e l’avidità, il lato sporco del pugilato, che trovano personificazione impeccabile in quel George Washington Duke che è ispirato, in toto, alla figura controversa di Don King.
Il secondo: il montaggio finale (Rocky è a terra, sanguinante, e Tommy Gunn lo insulta) vale, da solo, il prezzo del biglietto e il costo di tutto il film.

 

Certo, bisogna ammettere che quando si parla di Rocky occorre necessariamente fare un distinguo: c’è una voragine tra il primo film e gli altri, un dislivello che non sarà mai compensato.
Rocky, l’antesignano, resterà sempre uno dei migliori film della storia del cinema, un viaggio dell’eroe-underdog suggellato da una sceneggiatura perfetta, ricca di sottotesti. Il primo Rocky viene studiato, tanto per dire, in ogni scuola di sceneggiatura del mondo; è menzionato, tanto per dire, in quasi tutti i manuali di narrativa, narratologia, cinema e scrittura esistenti.
Il franchise, tra alti e meno alti, si era chiuso con Rocky Balboa (2006), film non brillante ma tutto sommato onesto, che segnava un ritorno di Stallone alle atmosfere poetiche dei primi film.

A questo punto, la sorpresa.
Nel 2015 esce il primo Creed, diretto da Ryan Coogler. Sylvester Stallone interpreta un Rocky ormai ritiratosi dal pugilato – e anche malato – mentre il convincente Michael B. Jordan dà vita e corpo ad Adonis Creed, figlio naturale del grandissimo Apollo Creed.
Contro ogni pronostico, questo film ci sorprende in positivo; non si tratta solo di uno spin-off, ma di un omaggio che raccoglie l’eredità di Rocky per presentare un pugile nuovo alle generazioni più giovani. Un tributo, certo, ma anche una storia che sa stare benissimo sulle proprie gambe. A margine, in questo gioiello inatteso, Stallone fornisce una delle sue migliori interpretazioni: vince il Golden Globe e rischia persino di vincere l’Oscar come miglior attore non protagonista.

Tre anni dopo esce il secondo Creed, che reintroduce Ivan Drago, ripescandolo direttamente da Rocky IV. L’idea farebbe pensare a una sorta di telenovela, ma così non è: il secondo film di Creed (nonché ottavo film del franchise Rocky) si presenta, a sorpresa, come un viaggio profondo nei sentimenti umani. In particolare, tra un allenamento e un incontro, si affronta il concetto di paternità.
A pensarci bene, in questo film ci sono quattro padri e quattro figli:
1. Apollo padre di Adonis
2. Adonis padre della neonata bambina
3. Rocky padre di Robert
4. Ivan Drago padre di Viktor.
Creed II è un film sulla difficoltà di essere uomo e di essere padre, perché ognuno di questi padri, a modo proprio, ha fallito.
Apollo non è mai stato un padre per suo figlio; Rocky non trova il coraggio di ricongiungersi con il suo; Ivan Drago usa suo figlio come riscatto contro la Russia e Adonis rischia di dare più importanza agli incontri che non alla sua piccoletta.

Creed II è un film sul pugilato che non parla di pugilato: parla di famiglia. Non c’è più il riscatto sociale (quello era di Rocky), ma c’è la determinazione dei valori di un uomo o di un guerriero: per cosa combattiamo davvero?

Stallone scrive una sceneggiatura che ripete, aggiornandolo, lo stesso schema di Rocky 4, ma lo fa con quella malizia del cinema d’autore che ha imparato nel corso degli anni. Per questo motivo, Creed II è infinitamente superiore, per spessore e concetti, a quella baracconata filoamericana di Rocky 4 (che tecnicamente era perfetto, salvo il fatto che con Rocky non c’entrasse nulla).

Creed

Non l’avrei mai detto, ma l’interpretazione più toccante è quella di Florian Munteanu, il gigantesco figlio di Ivan Drago: nei suoi occhi, eternamente supplicanti, si legge solo una domanda: “Cosa devo fare, papà? Dimmelo tu. Io sono qui per te”.
L’attore viene inquadrato poco e proferisce a stento qualche parola, ma è nei suoi occhi in bilico che si legge la preghiera muta rivolta al padre, alla madre che lo ha abbandonato, alla Russia che li ha traditi.

Alla fine del film, i due pugni chiusi si toccano. Quello di Rocky e quello di Adonis, e Rocky lo dice, una volta per tutte: «Questo è il tuo momento».
Stallone lascia definitivamente il personaggio che gli ha dato gloria e successo da quarant’anni a questa parte, che ha cresciuto e sedotto quattro generazioni di spettatori, conquistandosi un posto d’onore nell’Olimpo assoluto dei miracoli cinematografici.

Con questo secondo film, la saga di Rocky si chiudeva in maniera perfetta, congiungendo un cerchio di storie che duravano da decenni. I figli si ricongiungevano, moralmente o fisicamente, con i padri. Rocky lasciava il testimone ad Adonis e abbandonava per sempre il personaggio.
Tutto impeccabile.
L’epilogo matematico e perfettamente riuscito di uno dei franchise più belli di tutti i tempi. Certo, Creed non sarà mai Rocky: Adonis non avrà mai quel senso di rivalsa umana e sociale che ha spinto Stallone a fare quello che ha fatto; un figlio privilegiato non potrà mai entusiasmarci quanto un figlio disperato e solo che lotta per la sopravvivenza, ma ciò non toglie che i due Creed (entrambi belli) abbiano una propria dignità cinematografica, derivante dalla riuscita (e difficile) impresa di combinare citazioni, melodramma e azione.

Ed ecco spuntare un altro Creed, senza Stallone.
Nel 2023, diretto ed interpretato da Michael B. Jordan, esce il terzo (e a questo punto si spera anche ultimo) capitolo di Creed, stavolta senza Rocky. L’esordio alla regia di Jordan si sposa, purtroppo, con il film meno riuscito e meno sensato di tutta la saga.
Capitolo inutile, privo di idee, di spunti, di epicità.
Alla fine del film ci si trova a implorare qualche divinità affinché Stallone faccia anche solo un piccolo cameo, cercando di salvare, anche solo con uno sguardo, una pellicola senza alcuno spessore.
Ciò che si critica di questo film non è tanto la resa tecnica (anzi, l’incontro finale risulta anche gradevole), quanto la necessità.
C’era davvero bisogno di raccontare questa storia?
No.
Ogni film di Rocky, riuscito o meno, nasceva palesemente da un’esigenza narrativa, dalla voglia impellente di raccontare una certa trama per affrontare un tema, una serie di concetti, un aspetto del pugilato e dello sport come metafora di vita e dei conflitti umani.
Questo Creed sembra il prodotto forzato di una sceneggiatura che, senza alcuna ispirazione, è obbligata a trovare materiale narrativo per far proseguire il franchise. E questo materiale narrativo risulta scadenze e senz’anima.
Si sarebbe potuta cogliere l’occasione, per esempio, per affrontare il tema degli afroamericani, dei ghetti, del degrado sociale tipico di alcune zone o di alcune comunità. Non accade, però, niente di tutto questo.

Creed

Creed III è la brutta copia di Rocky III, che nemmeno è tra i miei preferiti (anzi, per me è tra i meno riusciti della saga), ma è comunque avanti anni luce rispetto a quest’ultimo episodio scialbo e senza nerbo.
Un Creed che trovo inutile e pretestuoso, sul quale mi sento di essere lapidario nello stesso modo in cui lo sono stato per Matrix 4: sarebbe stato meglio non farlo.

LA MIA CLASSIFICA
Alla luce del terzo Creed, ecco la mia classifica personale.
1. Rocky
2. Rocky II
3. Creed
4. Creed II
5. Rocky III
6. Rocky IV
7. Rocky V – Rocky Balboa
8. Creed III

© Diego Di Dio, 2023

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